"Lo diciamo da tempo – tuonano i Segretari generali delle categorie regionali – l'emorragia è inarrestabile. Se anche riuscissimo nel Lazio ad assumere le cinquemila figure previste, le uscite saranno superiori, e di assunzioni programmate ne servirebbero almeno il doppio: un piano straordinario di assunzioni che con le attuali norme nazionali non è consentito. Anche i margini di manovra in tema di capacità assunzionali consentiti dal recente "decretone" 4/2019 non bastano. Serve un piano complessivo e una precisa scelta del Governo che inverta la rotta, stabilisca risorse complessive per investire nel rilancio del sistema sanitario nazionale e per il rinnovo del CCNL, rimuovendo i vincoli finanziari ancora vigenti.
Per tutte le professioni sanitarie, come per gli amministrativi e tecnici, nel Lazio la crisi è generalizzata. Lo scarno organico attuale, sceso del 10%, circa il doppio della media nazionale, si attesta oggi sui 40 mila dipendenti e scende inesorabile, mentre com'è ovvio l'età media cresce. Quasi un dipendente su due entra nella fascia d'età 58-67 anni. Con i pensionamenti previsti, incrementati di alcuni punti per effetto di quota cento, si prevede un calo di un ulteriore 20% nei prossimi cinque anni".
"Parte dal Lazio la mobilitazione generale delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità pubblica, che crescerà di intensità e si incrocerà con le rivendicazioni a livello nazionale – annunciano Di Cola, Chierchia e Bernardini – che troverà nella manifestazione indetta dalle categorie pubbliche Cgil Cisl e Uil dell'8 giugno un punto di partenza generale e rilancerà la vertenza in tutto il paese. "A maggio si terranno assemblee in ogni azienda sanitaria regionale, dove molto spesso è carente il confronto sulle dotazioni organiche, per costruire con i lavoratori una piattaforma che ponga al centro il rilancio dei servizi pubblici alla salute e ponga tutte le condizioni perché gli impegni e le intenzioni condivise con le organizzazioni sindacali si traducano in azioni concrete. Solo il sistema pubblico può garantire diritti universali, primo tra tutti quello alla cura e alla tutela della salute, consentendo avanzamenti di salario e diritti anche nella filiera privata, dove rivendichiamo un salario e diritto uguali a quelli della sanità pubblica, mentre invece ai lavoratori viene negato un nuovo contratto da 12 anni, e riducendo esternalizzazioni e precariato. Per servizi di qualità, è imprescindibile crescere sia in termini di numero di operatori che investire nella qualità e nell'organizzazione del lavoro".